Tra
dogmi e verità, finestre aperte sull'infinito
Di Don Graziano Borgonovo
Il
dogma cattolico e il rapporto verità-sincerità, negli interventi
di Mons. Jacques Gaillot, il vescovo francese destituito nel gennaio '95 dalla
sede episcopertine/copale di Evreux, ospite di "Era. Ora" alla TSI.
Il 27 maggio scorso è stato invitato a Lugano, ospite di "Era. Ora"
alla TSI, Mons. Jacques Gaillot, il vescovo francese destituito nel gennaio
'95 dalla sede episcopertine/copale di Evreux. Tralasciando molte altre considerazioni
possibili (relative anche alle modalità con cui il GdP si è fatto
carico di darne rilievo), focalizziamo la nostra attenzione su due punti decisivi
emersi nel dibattito televisivo, cui Mons. Gaillot ha preso parte, fondamentali
ben al di là della circostanza particolare che qui ci offre lo spunto
per trattarne. Il primo concerne la portata del dogma cattolico; il secondo
il rapporto verità sincerità. Per entrambi ci limiteremo ora a
brevissimi e, per quanto incompleti, speriamo pertinenti cenni.
1) Che non tutto nella Chiesa sia dogma è un semplice dato di fatto.
La Chiesa offre d'altronde all'assenso del credente un numero relativamente
elevato di proposizioni (basti pensare al Simbolo niceno costantinopolitano,
il Credo che ogni domenica recitiamo nelle chiese) come costitutive della regola
di fede. Non che ciascuno debba essere previamente teologo per giungere ad un
assenso reale consapevole (ci mancherebbe altro!): la sola "condizione"
per il verificarsi di quest'ultimo è infatti l'apertura della ragione
e dell'essere alla possibilità del Mistero. Per tutti deve però
rendersi praticabile un assenso reale originario, capace di contenere e, in
qualche modo, di anticipare, i successivi. La Chiesa stessa è il termine
di questo primo assenso perché il cristianesimo non è definibiie
come "religione del Libro", che ciascuno interpreterebbe da sé
avendo se stesso come criterio, essendo al contrario un Fatto storico che perdura
vivente nel tempo. Vale la pena ascoltare la testimonianza di un grande convertito
inglese del secolo scorso, John Henry Newman, divenuto poi cardinale. "Il
dogma fondamentale della religione cattolica è che la Chiesa è
l'oracolo infallibile della verità: "Credo ciò che la Chiesa
mi propone come credendum" è un atto d'assenso reale che include
tutti gli assensi particolari [compreso quello relativo alla Verginità
di Maria, dunque, per riprendere l'esempio fornito in modo un po' sibillino
dal conduttore di "Era. Ora", cui Mons. Gaillot ha fornito una risposta
decisamente fuori luogo]. E questo è un assenso possibile per l'incolto
e per il colto, e tassativo per il colto come per l'incolto. Così dunque
col prestar fede alla parola della Chiesa implicite, ossia col credere a tutto
ciò che la sua parola dichiara o dichiarerà di contenere, ogni
cattolico nella misura della sua capacità intellettuale supplisce alla
limitatezza del suo sapere senza con ciò attenuare il suo assenso reale
a ciò che è elementare: accoglie fin dal principio l'intera verità
rivelata; e progredisce da un tipo ad un altro di apprensione man mano che ciò
gli riesce possibile" (Grammatica dell'Assenso, 1870). Solo l'adesione
al tutto consente infatti di non scegliere arbitrariamente tra le parti. Il
termine greco airesis, da cui l'italiano eresia, indica esattamente per converso
questa scelta arbitraria operata all'interno del patrimonio della fede.
I simboli di fede e i dogmi, essendo espressione in linguaggio umano di un fatto
divino rivelato, possono sussistere soltanto all'interno e nel cuore di una
Realtà vivente che Quel fatto comunica: lì il singolo aspetto
è rapportato di continuo al tutto della verità da cui scaturisce.
Lungi dall'esaurirla, ne consentono una sua esperienza obiettiva.
Frequentemente purtroppo e ci richiamiamo qui alla lucida analisi condotta dal
Cardinale Joseph Ratzinger, in una visione individualistica e soggettiva della
teologia e della fede, "il dogma è spesso considerato come una gabbia
intollerabile, un attentato alla libertà del singolo studioso. Si è
perso di vista il fatto che la definizione dogmatica è, invece, un servizio
alla verità, un dono offerto ai credenti dall'autorità voluta
da Dio. I dogmi ha detto qualcuno non sono muraglie che ci impediscano di vedere;
ma, al contrario, sono finestre aperte sull'infinito" (Rapporto sulla fede,
Paoline, Milano 1985, p. 72). Oppure, secondo l'altrettanto pertinente osservazione
di Romano Guardini: "il dogma non è strumento di una forza ecclesiastica
costrittiva dello spirito (Geistespolizei), ma garanzia della stessa libertà
spirituale, sistema di coordinate della coscienza credente aperta, a partire
dalla Rivelazione, a tutta la realtà nella sua pienezza" (Appunti
per un'autobiografia, Morcelliana, Brescia 1986, p. 53).
2) Passiamora a considerare il secondo punto, quello relativo al rapporto verità
sincerità, in cui emerge anche la tipica concezione della coscienza che
si è andata affermando con l'avvento del pensiero moderno dopo Cartesio.
"In alcune correnti del pensiero moderno" scrive il Santo Padre Giovanni
Paolo II nell'Enciclica Ueritatis Splendor, cogliendo in modo molto lucido le
radici storico teoretiche dei problema "all'affermazione del dovere di
seguire la propria coscienza si è indebitamente aggiunta l'affermazione
che il giudizio morale è vero per il fatto stesso che proviene dalla
coscienza. Ma, in tal modo, l'imprescindibile esigenza di verità è
scomparsa, in favore di un criterio di sincerità, di autenticità,
di "accordo con se stessi", tanto che si è giunti a una concezione
radicalmente soggettivista dei giudizio morale". Proprio la crisi intorno
alla verità risulta essere allora la causa determinante di quell'atteggiamento
volto a "concedere alla coscienza dell'individuo il privilegio di fissare,
in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza. Tale
visione fa tutt'uno con un'etica individualista, per la quale ciascuno si trova
confrontato con la sua verità, differente dalla verità degli altri"
(n. 32). Se però ciascuno ha la sua verità, ciò equivale
a dire, semplicemente è persino pleonastico sottolinearlo, che la verità
non esiste affatto. Il dramma dell'uomo moderno può in effetti essere
riassunto in questi pochi termini: non credere più che qualcosa che è
ai di là di sé, da riconoscere, possa costituire, come verità
di sé, il proprio compimento.
Quale incidenza può perciò avere, anche nella coscienza di molti
cristiani, una indicazione, forte e chiara, come la seguente: "Il compito
fondamentale della chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra,
è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza
di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo (...), Cristo redentore
che rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso" frase che Giovanni Paolo
II ha collocato nella straordinaria Enciclica d'apertura del suo ministero pontificale
(Redemptor hominis, n. 10) , se tutto poi si riduce al dovere di "sincerità
con se stessi"? Se si assume cioè come presupposto proprio la concezione
di coscienza del liberalismo, per la quale (e lo diciamo con le parole di un
altro scritto del Cardinale Ratzinger) " la coscienza non apre la strada
al cammino liberante della verità, la quale o non esiste affatto o è
troppo esigente per noi", trasformandosi "nella giustificazione della
soggettività, che non si lascia più mettere in questione",
per cui è sufficiente "essere convinti delle proprie opinioni, così
come adattarsi a quelle degli altri"? Se si tratta di conformarsi sempre
più alla mentalità di questo secolo ma sembra proprio che san
Paolo abbia rivolto una vibrante esortazione di senso contrario ai cristiani
della prima generazione (Rm 12,2) ..., non avranno forse più lodi dal
mondo proprio quei "fantaccini della sincerità", che tutto
ciò che riescono a dire è che è importante "pensare
da soli", ironizzando su improbabili crociate di chi ama la verità?
Negli ultimi secoli, sia da parte di filosofi che di teologi, si è in
genere insistito molto sul dovere di sincerità e di lealtà nell'ascolto
e nella sequela della voce della coscienza. Niente è più esatto.
San Tommaso (per non citare che il "Dottore comune" della Chiesa,
in qualche modo riassuntivo di tutta la tradizione cristiana precedente) lo
domanda con energia non minore. Ma aggiunge sempre e questa cosa è invece
ai nostri giorni un po' più dimenticata ... che occorre alla radice un
grande amore per la verità in se stessa. E il problema della verità
per la coscienza non consiste anzitutto nell'essere d'accordo con se stessi,
nell'essere sinceri e semplicemente convinti; si tratta anzitutto ed essenzialmente
di essere in accordo con l'ordine oggettivo delle cose, espresso nella legge
naturale e, in definitiva, nella legge divina eterna. La dignità dell'uomo
è infatti tutta compresa tra lo "splendore della verità"
e la "gloria di Dio", che in Cristo ci ha spalancato la finestra sull'infinito,
manifestandoci, misericordiosamente, il Suo Volto.